Storytelling (o #storytelling che è molto più cool) è una parola usata ed abusata nella comunicazione e nel mondo del lavoro. Una storia sentita e “risentita”, eppure sempre interessante. Spesso ricevo domande in merito, sia in ambito lavorativo che quando parlo nelle scuole ai ragazzi. Uno dei quesiti più comuni è “come faccio a capire se c’è la storia oppure no?”, ovvero cosa è storytelling e cosa no?

Per poter rispondere è necessario dare una definizione di storytelling e, neanche a farlo apposta, proprio ieri sera ad un convegno della Ruling Companies è stata mostrata questa slide da Francesco Gallucci:

Lungi da me il non essere d’accordo con uno dei massimi esperti di neuromarketing, lo storytelling è una scienza cognitiva. La mia risposta alla domanda “come faccio a riconoscere se è storytelling o no” è basata su una semplificazione di uno dei principi per cui le storie ci interessano: la curiosità di sapere come vanno a finire.

“C’era un mio collega che temeva di venire licenziato….” ed ecco che viene naturale voler conoscere la sorte di quella persona (anche se non ci sta a cuore o non la conosciamo). Se quello che diciamo genera un “come va a finire?” è molto probabile che sia storytelling, e che possa catturare l’attenzione del nostro pubblico.

Una definizione di storytelling non per tutti

La mia risposta non è universale, dipende sia dal contesto che dall’audience. Prendiamo come esempio una storia che inizi con “Mancavano 10 minuti alla fine del secondo tempo e l’Inter…” e come destinatario il sottoscritto. Poiché al calcio preferisco guardare la vernice asciugare sui muri per me non genera interesse o curiosità. Vuol dire che non è un buon storytelling? Assolutamente no. In questo caso sono io l’eccezione che ho un “filtro negativo” su quell’argomento.

Ciò non toglie che è importante giudicare una storia in base al pubblico, per non correre il rischio di incappare in altri filtri negativi, che possono dipendere da diversi fattori. I più tipici sono una sovraesposizione o poca empatia, entrambi possono essere riferiti o all’argomento o al personaggio della storia.

Del resto dello studio dell’audience per costruire storie efficaci ne ho già parlato sfruttando le performance degli Attraction. Il mondo dello spettacolo ci fornisce alcuni fra i migliori esempi. Vale per le canzoni come bene disse il mio amico Leonardo in questo post su Facebook sugli 883, vale per i video delle canzoni come scrissi in merito agli Script con will.i.am.

Di altre riflessioni sullo storytelling tornerò a parlarne molto presto nella mia newsletter (molto aperiodica) presentare meglio dove con alcuni esempi, anche in video, approfondirò non solo l’efficacia del raccontare storie, ma anche dei sottili rischi che comporta.